Tendinopatia

Tendinopatia

Stiamo scalando. Ennesimo tentativo sul nostro progetto su quel muro strapiombante che conosciamo a memoria. Ormai abbiamo perso il conto dei tentativi, ma anche stavolta la catena non arriva. Quello che però arriva, nei minuti successivi, mentre ormai stiamo mettendo via il materiale per tornare alla macchina, è un sordo dolore al gomito, che però decidiamo di ignorare assieme a tutti gli altri acciacchi della giornata.


Passano le giornate e continuiamo imperterriti ad allenarci in palestra, tra blocchi, trave e pan gullich: il dolorino iniziale ora è più invadente, soprattutto prima e dopo il nostro allenamento, ma finché ci lascia scalare più o meno normalmente in quelle ore decidiamo che il nostro progetto ha (ovviamente) la precedenza.
I giorni diventano settimane, e le settimane mesi. Decidiamo di provare con lo stretching, questo sconosciuto, ma al di là di un sollievo momentaneo il dolore non passa, finché anche aprire la porta di casa, chiudere la moka del caffè oppure lavarci la testa diventa quasi impossibile.
Cos’è successo? Abbiamo assistito all’evoluzione tipica di una tendinopatia. E sono convinto che molti di voi si sono riconosciuti in questa parabola.

Cos’è una tendinopatia


Con tendinopatia si intende un processo di tipo degenerativo che interessa la struttura e le proprietà del tendine, riducendo la sua capacità di trasdurre le forza muscolare e di sopportare carichi.
Il tendine è un’unità strutturale di una complessità estrema, e di cui la scienza in realtà sa ancora molto poco. Il suo compito principale è quello di unire la muscolatura alle ossa, permettendo ad essa di muoverle, ma anche di aumentare il rendimento energetico del muscolo attraverso le proprietà elastiche del collagene, di cui il tendine è principalmente composto.
I tendini sono strutturati per sopportare carichi molto elevati ma quando questi carichi (pesanti, ma non solo) vengono protratti nel tempo, senza lasciare al tendine la possibilità di adattarsi, si può innescare un meccanismo mal adattativo che porta il tendine a cambiare la sua struttura. Mentre infatti la muscolatura risponde al carico adattandosi rapidamente (nell’ordine delle settimane), i tendini attraverso i quali questi muscoli muovono le ossa rispondono molto più lentamente (nell’ordine di 1-2 anni): questo differenziale fa sì che i nostri muscoli esercitino sul tendine carichi sempre maggiori man mano che ci alleniamo, che quest’ultimo magari non è ancora in grado di sopportare.
L’elemento scatenante spesso è un cambio di abitudini: un aumento del volume di allenamento o di arrampicata, il cambio di angolazione delle pareti su cui solitamente scaliamo o del tipo di prese, ad esempio. Questo può aumentare rapidamente massa e forza muscolare senza che però il tendine riesca ad adattarsi di pari passo: la struttura del tendine subisce continue microlesioni che non riesce a riparare, e la sua struttura cellulare inizia a degenerare, dando vita ad una tendinosi o tendinopatia.
Le più comuni tendinopatie nel popolo dei climbers sono l’epicondilite, o gomito del tennista, che interessa il tendine comune dei muscoli estensori di polso e dita, e da dolore nella zona laterale del gomito; l’altra è l’epitrocleite, o gomito del golfista, che invece interessa il tendine comune dei muscoli flessori di polso e dita, e da dolore nella zona interna del gomito.
Il termine utilizzato per descrivere queste patologie, ovvero tendinopatie, serve a distinguerle dal più utilizzato, ma spesso scorretto, tendiniti. Mentre una tendinopatia o tendinosi indica un processo cronico di tipo degenerativo, con tendinite si indica un processo acuto su base principalmente infiammatoria. Il termine tendinite viene utilizzato come passepartout, anche purtroppo da molte figure mediche, per indicare qualsiasi dolore nella zona del gomito, benché la quasi totalità di essi sia attribuibile ad una tendinopatia.
Mentre le tendiniti risponderanno a tutti i trattamenti antiinfiammatori, ghiaccio e soprattutto riposo, le tendinopatie no: il riposo e gli antinfiammatori possono migliorare il sintomo, che però tornerà non appena riprenderemo a scalare.



Come riconoscerle?


L’elemento distintivo è il dolore; un dolore abbastanza sordo e continuo (almeno finchè la degenerazione del tendine è piuttosto limitata), che tende a esacerbarsi in fase di riscaldamento e dopo l’attività, mentre a caldo solitamente è più contenuto. Solitamente è un dolore che esordisce e si sviluppa in maniera insidiosa, nell’arco di più settimane. Il dolore si localizza spesso nella zona dove il tendine si inserisce sull’osso, e spesso percuotere con una nocca questo punto (interno del gomito per epitrocleite, ed esterno del gomito per epicondilite) da un dolore acuto.
Se vi ritrovate in questa descrizione e avete dolore nella zona interna del gomito, potrete avere un ulteriore conferma con i seguenti test:
A braccio steso davanti a voi ad altezza spalle, provate a spingere a dita stese e verso il basso una presa (o il bordo di un mobile), appoggiando solo le prime falangi di indice medio e anulare.
Stringete la mano a qualcuno e chiedetegli di opporre resistenza mentre, sempre a braccio steso, provate a ruotare il vostro palmo verso il basso.
Se uno o entrambi di questi test vi procurano dolore nella zona interna del gomito è probabile che si tratti di epitrocleite.
Se invece vi ritrovate nella descrizione iniziale ma avete dolore nella zona esterna del gomito, provate questo test:
A braccio steso davanti a voi ad altezza spalle, provate a spingere a dita stese (o usando solo il dito medio) verso l’alto una presa (o il bordo di un mobile), appoggiando solo l’ultima falange.
Se vi scatena dolore nella zona esterna del gomito si tratta probabilmente di epicondilite.
Questi test servono per una diagnosi sommaria, per capire se siete probabilmente affetti o no da queste patologie; ma va detto che una diagnosi vera è molto più complessa, per cui il mio consiglio rimane sempre quello di rivolgervi ad uno specialista (fisioterapista o medico) con una buona conoscenza del nostro sport, che possa seguirvi adeguatamente nella valutazione.


Come trattarle?


Le tendinopatie sono dei processi di indebolimento e degenerazione del tendine; non esistono medicine magiche per risolvere questo problema: la soluzione è un progressivo riallenamento del tendine, per interrompere e invertire il processo degenerativo.
Qui metto una nota molto importante: ho spiegato come la maggior parte dei problemi al gomito non siano tendiniti ma tendinosi, e quindi non siano un processo infiammatorio. Diffidate perciò di chi vi propone soluzioni a base di cocktail di antinfiammatori, soprattutto se il dolore è presente da più di 3-6 settimane, perché non solo non andrà a risolvere il problema (perché il problema non è l’infiammazione!) ma rischia anche di avere un effetto negativo. Soprattutto le infiltrazioni di cortisone, che ancora oggi vengono propinate da tantissimi medici (nonostante le evidenze scientifiche abbiano ampiamente dimostrato i loro effetti negativi su queste patologie), con il loro effetto vasocostrittore, vanno a indebolire ulteriormente un tessuto già degenerato, e ridurre la sua capacità di rigenerarsi.
Gli studi presenti sull’argomento hanno dimostrato che il modo migliore per allenare il tendine degenerato e forzarlo a riadattarsi è una contrazione eccentrica, ovvero una contrazione del muscolo in allungamento, ad elevato carico: ora vedremo come attuarla. Lo strumento più utile e semplice per questo tipo di esercizio è un semplice bilanciere con la possibilità di cambiare i pesi in un range tra i 4 e i 10kg circa.
Per l’epitrocleite dovremo usare due esercizi diversi a seconda che sia risultato doloroso uno o l’altro dei due test spiegati prima; se entrambi hanno scatenato il sintomo li useremo ovviamente entrambi. Se il test dolente era quello in cui premevamo le dita verso il basso su una presa, partiremo con un peso intermedio sul bilanciere, di circa 5 kg. Appoggiamo il dorso del braccio su una superficie in modo da avere l’avambraccio sospeso oltre il bordo per circa metà della sua lunghezza, con il peso in mano e il palmo rivolto verso l’alto. Con la mano opposta ci aiutiamo per portare il polso in massima flessione verso l’alto, lo lasciamo, e lentamente controlliamo la discesa impiegando circa 7 secondi finchè il polso non sarà completamente esteso in basso. L’elemento più importante è trovare un livello di fastidio che in una scala da 0 a 10 arrivi circa a 3, in quanto significa che stiamo agendo sul tessuto degenerato, e per fare questo dobbiamo giostrare due elementi: il peso, trovando un giusto carico che mi procuri quel fastidio, ma non di più o di meno; e l’angolo di flessione del gomito, in quanto un diverso angolo andrà a stressare porzioni diverse del tendine (solitamente le più dolenti sono a gomito completamente steso o completamente flesso). Per questo dovremo fare delle prove fino a quando non troveremo il carico che mi procura un leggero fastidio, e l’angolo di flessione del gomito che più mi procura quel fastidio: una volta trovati useremo quel setting come partenza del mio allenamento e faremo 3 set da 5 ripetizioni mattina e sera ogni giorno.
Se il test dolente fosse risultato quello in cui, stringendo la mano cercavamo di ruotarla a palmo verso il basso, inizieremo con 2 kg su un solo lato del nostro bilanciere, e aumenteremo o diminuiremo il peso semplicemente salendo o scendendo con la mano lungo l’asta. Il setting rimane circa lo stesso, con l’avambraccio per metà oltre il tavolo, il bilanciere verticale con i pesi sopra e la mano orientata con il pollice verso l’alto: da questa posizione controllo lentamente la discesa del peso per portare il palmo della mano verso l’alto; giunto a fine corsa con l’altra mano riporto il peso verticale e ripeto. Anche qui dovrò trovare il peso che mi procuri un fastidio di valore 3/10 e l’angolo di flessione del gomito che più lo elicita, e fare 3 set da 5 ripetizioni mattina e sera ogni giorno.
Nel caso di epicondilite useremo sempre i pesi da un solo lato del bilanciere, e si troveranno dal lato del pollice. Appoggio l’interno dell’avambraccio su un tavolo con la metà della mano sospesa e il palmo rivolto verso il basso, e partirò con il polso completamente esteso (con le nocche verso l’alto) e leggermente ruotato in modo che la barra del bilanciere non sia parallela al tavolo, ma leggermente elevata dalla parte dei pesi. Da questa posizione controllo lentamente la discesa ma mantenendo sempre quella leggera rotazione iniziale, finchè il polso non sarà completamente flesso; userò l’altra mano per sollevare il peso e tornare alla posizione di partenza. Di nuovo, trovare il peso che mi procuri un fastidio di valore 3/10 e l’angolo di flessione del gomito che più lo elicita, e fare 3 set da 5 ripetizioni mattina e sera ogni giorno.
Solitamente una tendinopatia impiega fino a 12 settimane a risolversi, anche a seconda di quanto a lungo la avremo ignorata. Il nostro protocollo di trattamento rimarrà lo stesso, ma quando il peso iniziale non procurerà più fastidio dovremo aumentarlo (1 kg alla volta) fino a trovare di nuovo il fastidio iniziale, permettendo quindi un allenamento progressivo e graduale.
Va specificato che questo è il nocciolo del trattamento di una tendinopatia al gomito, ma gli elementi e le sfumature di un trattamento completo sono molte di più. Se applicandolo il sintomo non si modificasse entro le 12 settimane oppure peggiorasse, il mio consiglio rimane quello di rivolgervi ad uno specialista.