La tallonata, e l’evoluzione dei traumi agli arti inferiori in arrampicata

La tallonata, e l’evoluzione dei traumi agli arti inferiori in arrampicata

‘Nuovo’ modo di scalare = nuovi infortuni
Il gesto arrampicatorio si è evoluto, cambiando moltissimo dagli anni 80’ ad oggi. Con l’avvento e la crescita di popolarità del bouldering abbiamo assistito ad un progressivo incremento della complessità dei movimenti: mentre prima l’arrampicata sportiva prevedeva soprattutto salite su pareti verticali, in cui la funzione principale dei piedi era quella di servire da appoggi, oggi l’arrampicata è molto più tridimensionale; soprattutto nelle  strapiombanti pareti artificiali e nell’ambito delle competizioni, prevede un utilizzo degli arti inferiori alla stregua di quelli superiori per spingere, incastrare, e soprattutto tirare.
Questo nuovo impiego degli arti inferiori ha portato anche cambiamenti nell’ambito delle patologie della scalata: gli infortuni traumatici da caduta, un tempo riservati principalmente ad alpinismo e arrampicata trad, sono tornati ad avere una loro incidenza, soprattutto nel bouldering. Un nuovo meccanismo di lesione invece è quello legato alla tallonata.
La tallonata prevede l’appoggio del tallone ad una presa, spesso con la tibia in rotazione esterna, e la trazione del piede verso di sé attraverso una contrazione molto importante dei muscoli ischio-crurali (aka i muscoli posteriori della coscia), e soprattutto del bicipite femorale. Questo movimento, estremamente ‘innaturale’, comporta un carico molto importante nelle strutture posteriori e laterali di ginocchio e coscia: legamento collaterale laterale, legamento crociato posteriore, menisco laterale, tendine del muscolo popliteo, muscoli ischio-crurali, capsula articolare dorsale e tratto ileotibiale.
In letteratura vengono riportati pochi casi di traumi acuti dovuti all’utilizzo di questo tipo di tecnica, e nella maggior parte dei casi si tratta di lesioni abbastanza diversificate alle strutture riportate sopra. Possono essere divise in due macro-categorie: lesioni di tipo ‘pelvico’, che solitamente sono avulsioni tendinee a livello del bacino dei muscoli implicati sopra; oppure lesioni più propriamente del ginocchio, che interessano principalmente gli stabilizzatori posteriori e laterali.
Non ho trovato invece in letteratura alcuna menzione a forme più ‘subdole’ di problematiche al ginocchio legate a questa tecnica, che non prevedono un evento traumatico preciso, ma che invece si manifestano nel tempo come sindromi da sovraccarico, a seguito dell’utilizzo eccessivo senza un adeguato allenamento.

Problematiche da ‘overuse’ al ginocchio
Come abbiamo riportato sopra, basandoci principalmente su un ottimo studio condotto da Volker et al. nel 2016, l’utilizzo della tallonata sta progressivamente aumentando in seguito all’evoluzione della scalata e delle strutture su cui si svolge, e con essa il numero di lesioni agli arti inferiori connesse. Quello che invece, paradossalmente, non sta aumentando, è un focus sistematico dell’allenamento sugli arti inferiori per tenere il passo con questa evoluzione: tralasciando il contesto di élite dei circuiti di coppa del mondo (su cui comunque si potrebbero dire un paio di cose), sfido chiunque dei lettori arrampicatori a dire quanto del proprio regime di allenamento includa una parte specifica legata a rinforzo delle gambe.
Questa lacuna ci espone ad un rischio molto elevato: da una parte una maggior predisposizione ad un trauma acuto, avendo strutture più deboli e meno allenate a sopportare carichi; dall’altra una maggior rischio di sviluppare delle patologie da ‘overuse’ al ginocchio. Queste problematiche sono legate spesso al gesto ripetuto, quasi sempre si manifestano con un dolore sordo nella zona posteriore del ginocchio, che varia a seconda del carico, e sembrano mostrare le caratteristiche tipiche di una problematica muscolo-tendinea o di una tendinopatia. Spesso iniziano a manifestarsi dopo aver provato a lungo un blocco o un passaggio che richiedeva l’utilizzo massivo di una tallonata, si manifestano anche i giorni seguenti e tendono a peggiorare non appena si va a ripetere il gesto, tanto che a volte possono manifestarsi non solo tallonando ma anche quando è necessario spingere con la punta della scarpetta su un piede molto lontano a gamba stesa. Il tutto sembra far pensare ad una tendinopatia che interessa i muscoli che si inseriscono nella zona posteriore del ginocchio, come il popliteo, gli ischiocurali o i due gemelli.
La causa, come nella maggior parte delle problematiche tendinee, è un carico non adeguato al livello di allenamento del muscolo e delle strutture ad esso connesse (spesso soprattutto in termini di volume, non di intensità).

Allenamento degli arti inferiori come prevenzione
Per prevenire queste problematiche dobbiamo tenere a mente il comportamento dei tendini: rispondono al meglio a carichi molto alti, un volume di allenamento relativamente basso, espresso nei punti di non compressione di ciascun muscolo (che in linea di massima corrisponde alle posizioni di massimo allungamento). L’ideale quindi è un regime di allenamento che preveda carichi molto alti, mossi poche volte in posizioni intermedie.
I tendini rispondono poi in maniera diversa alla velocità di contrazione: una contrazione lenta e mantenuta oltre 30’’ tende a rompere i legami tra le fibre collagene del tendine, favorendone l’allungamento e il passaggio della tensione in ogni sua porzione; una contrazione breve e veloce invece tende a far crescere i legami tra le fibre collagene, rendendo il tendine più duro. Perciò oltre ad un carico molto alto, cercherò anche di introdurre un elemento di velocità nelle contrazioni, per favorire la durezza del tendine.
Come indicazione generale, una routine di allenamento di forza degli arti inferiori che preveda i classici esercizi di squat, squat monopodalico, ponte e plank inversa rappresenterebbe un ottimo allenamento generico e globale dell’arto inferiore, con particolare attenzione alla catena posteriore, che possa fare da fondamento. Si può poi introdurre l’elemento pliometrico utilizzando movimenti più veloci oppure, soprattutto negli squat, il salto. Il problema è che con questi esercizi risulta difficile aumentare molto il carico, essendo a corpo libero; l’esercizio chiave che andrebbe introdotto sarebbe il classico deadlift o sollevamento con bilanciere, in tutte le sue varie declinazioni: andrebbe stabilito un carico base di partenza, che di solito sta tra i 6 e gli 8RM [Qui metterei nota a piè di pagina: RM = Repetition Max: corrisponde al massimo carico sollevabile una volta sola con buon tecnica; 6/8 RM sono delle percentuali del massimale, e corrispondono, in maniera semplificativa, al massimo carico che riesco ad alzare 6 o 8 volte con buona tecnica], e poi fare brevi serie di appunto non più di 8 ripetizioni, e non oltre i 3 set.
Un ultimo esercizio che introdurrei è invece più specifico per la tallonata, e posso decidere di farlo su superfici fisse come un tavolo o una sedia oppure direttamente sulla parete di arrampicata. Si tratterà di allenare proprio il gesto della tallonata con delle contrazioni isometriche massimali(ovvero senza che alcuna articolazione si muova) ad angoli di flessione di ginocchio diverse: semplicemente si tratterà di assumere la mia posizione, appoggiare il mio tallone su un tavolo, sedia o su una presa (con un angolo di flessione del ginocchio diverso, in modo che le strutture si trovino a lavorare in punti diversi diversi), ed esprimere il massimo della mia forza premendo sul tallone senza muovermi per 3-5 sec max. Farò 3 set da 5 ripetizioni. Se ho una problematica già in corso posso utilizzare questo stesso modulo, con un livello di intensità che evochi solo un breve fastidio (che deve sparire nelle 24h successive), utilizzando una contrazione lenta, ed eventualmente un tempo di contrazione più lungo (fino a 30’’); man mano che migliora la condizione, riduco i tempi di contrazione, aumentando il carico. In fase finale o in un’ottica preventiva posso invece utilizzare un carico massimale per il tempo indicato, aggiungendo invece la massima velocità di contrazione.
Il rinforzo delle strutture tendinee e muscolari si traduce anche in una maggiore protezione delle strutture non contrattili, come capsula articolare e legamenti; su di esse poi agisce anche il carico stesso, aiutandole a migliorare la propria capacità di base.


Stretching
L’allenamento di forza è l’elemento fondamentale, e scientificamente provato, di qualsiasi tipo di prevenzione. In un’ottica più ampia, credo sia anche importante aggiungere una corretta flessibilità delle strutture che stiamo allenando: dei semplici esercizi di stretching degli ischio-crurali e del quadricipite, mantenendo la contrazione per circa 60’’ e ripetendo 2-3 volte, rappresentano un buon punto di partenza.